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Pasta madre o lievito di birra: come scegliere

 Per ogni pane, tempo, farina e gusto personale, c’è il giusto lievito, e saperli scegliere in ogni occasione è il segreto per una panificazione a regola d’arte, che si tratti di focaccia, di pane integrale, di pizza.


Innanzitutto è bene conoscere la differenza fra i due, per capire molte delle proprietà del risultato che si andrà ad ottenere usando uno o l’altro. Il lievito di birra è costituito prevalentemente da un tipo di lieviti che vengono usati (ed ecco il nome) anche per la fermentazione della birra, e la rendono frizzante perché dalla trasformazione degli zuccheri producono prevalentemente anidride carbonica o alcol etilico. Il lievito madre invece è un insieme di tante varietà di microrganismi fra cui lieviti e batteri lattici che producono anidride carbonica, fondamentale alla lievitazione, ma anche altri composti come l’acido acetico, l’acido lattico e danno una complessità organolettica che modifica diversamente la struttura dell’impasto e ne conferisce una complessità anche gustativa.

Per un pane soffice e compatto

Il lievito di birra permette di ottenere velocemente pani molto soffici, a base di farina 00, cavi all’interno o sfogliati come le biove o le paste dure. La pasta madre regala un pane meno lievitato e più compatto, con alveoli più piccoli.

Quando il pane è acido c’è un errore

Rispetto al gusto più delicato e meno complesso del pane fatto con lievito di birra, il pane fatto con lievito madre esprime più aromi e una gamma più ampia di sapori. Il sapore leggermente acido è una sua caratteristica, ma quando questa acidità è marcata è sinonimo di una fermentazione non ottimale e di una pasta madre non rinfrescata nel modo corretto.

La conservazione

Il pane fatto con pasta madre dura più a lungo mantenendo un ottimo sapore rispetto al pane panificato con lievito di birra, che secca più facilmente. La differenza è dovuta alla diversa struttura della rete di glutine e dal diverso processo di trasformazione dell’amido, che cristallizzando nel tempo indurisce il pane, più lentamente. Il pane con lievito madre muffisce di meno perché le componenti del lievito e l’acidità lo proteggono dalla proliferazione delle muffe.

Per un pane più digeribile

Il tipo di lievitazione innescata dalla pasta madre agisce scomponendo le proteine della farina rendendo il pane più digeribile e capace di dorarsi di più e sviluppare ulteriori aromi dovuti alla cosiddetta reazione di Maillard (quella che avviene anche quando si rosola la carne e questa si imbrunisce, diventando più saporita). I microrganismi del lievito madre riescono anche nei lunghi tempi di lievitazione a liberare più Sali minerali e a rendere più assimilabili Sali e vitamine durante la digestione
Il lievito di birra invece può essere mal tollerato da soggetti sensibili o, se la lievitazione e la cottura risultano non sufficienti, dare gonfiore a livello intestinale. Spesso per accelerare la lievitazione vengono utilizzate dosi eccessive di lievito di birra, che unite alla fretta, sono la causa di questi disturbi. La pasta madre al contrario grazie alla presenza di fermenti lattici e probiotici ha un effetto di riequilibrio della flora batterica.

La scelta del tempo

La pasta madre va rinfrescata settimanalmente, e ciò significa che va curata e usata spesso. In più la lievitazione con lievito madre è più lunga e richiede più tempo, che non sempre è disponibile nella normale vita quotidiana. Esistono in commercio anche paste madri essiccate e vendute in bustina, contengono spesso anche lievito di birra, e sono un compromesso veloce per avere almeno una migliore digeribilità del prodotto finito. Una pasta madre giovane, fatta da pochi mesi ha meno ricchezza di microrganismi di una centenaria, e ha meno forza – cominciare con una pasta ben avviata è fondamentale per avere subito un buon risultato.

Il fattore imprevedibilità

Panificare con lievito madre non è più difficile in senso assoluto, ma richiede esperienza e spirito di osservazione . Con il lievito di birra la lievitazione può essere inficiata da meno variabili (essendo un ceppo solo di lieviti) e quindi ha meno probabilità di non riuscire alla perfezione. Ecco perché la panificazione con lievito madre ha bisogno di essere vissuta e spiegata, e i corsi amatoriali sul tema sono richiestissimi (come quelli che vengono organizzati alla Scuola della Cucina Italiana di Milano). Si mettono le mani in pasta, si fanno domande – e soprattutto si torna a casa con un pezzetto di lievito madre con cui cominciare nella propria cucina.

Ti sei mai chiesto qual è la storia della divisa da chef?

Dalla toque bianca ai pantaloni bianchi e neri, ti spieghiamo la sua origine e la sua utilità.
Abbiamo già analizzato l’utilità della divisa da chef, ma cosa sappiamo della sua storia? Ce la racconta questa infografica di Prudential Verral Supply che ripercorre le origini dell'uniforme da cuoco. Pantaloni a scacchi bianchi e neri, giacca doppiopetto, fazzoletto al collo e ovviamente toque bianca: l’infografica spiega l’origine di tutti questi elementi. 
Avreste mai detto che il cappello una volta salvava la vita agli chef? Ebbene sì, durante il sedicesimo secolo gli chef dovevano spesso rifugiarsi nelle chiese ortodosse per sfuggire alle persecuzioni che colpivano gli artigiani dal "libero pensiero", e si confondevano con i preti indossando le loro stesse vesti lunghe e i cappelli alti, con la sola differenza del colore - grigio e non nero. Quanto alle altre parti dell'uniforme, per quanto meno iconiche, hanno tutte un'utilità: i fazzoletti intorno al collo - ormai quasi scomparsi - assorbono il sudore; i pantaloni a scacchi bianchi e neri nascondono le macchie; la giacca a doppiopetto isola dal calore e protegge da eventuali rovesciamenti di liquidi caldi.
Molto interessante, per quanto inevitabilmente un po’ semplificativa, anche la parte relativa alla storia del ristorante come attività commerciale e istituzione sociale, una storia che - così come lo concepiamo - inizia nel 1700. Le public eateries, locali dove si mangiava in pubblico, erano già presenti nell’Impero Romano e in Cina, e lungo le strade nel Medioevo era comune trovare taverne dove mangiare lungo la strada. È solo nel diciottesimo secolo in Francia, però, che i ristoranti come li conosciamo oggi iniziano a prendere forma e ad aumentare di numero.

AUGUSTE ESCOFFIER, ideatore della brigata di cucina

La brigata di cucina è l'insieme di tutto il personale di cucina, sia operatori qualificati che apprendisti, che opera nella preparazione professionale di vivande.

Origini

Si tratta di un concetto ideato dal grande Auguste Escoffier, come struttura gerarchica organizzata in forma piramidale in cui mansioni e compiti erano rigorosamente distribuiti in ruoli specializzati, separati ma interdipendenti, come in una brigata militare. Tale struttura era ideata per rispondere innanzitutto alla sfida costituita dalle esigenze dei grandi hotel di fine Ottocento circa la qualità e la rapidità delle preparazioni. Si tratta di uno schema che rimase invariato fino agli anni sessanta. Il termine è rimasto in uso per definire anche le strutture di dimensioni ben minori, spesso con gerarchia meno rigida, caratteristiche della ristorazione attuale.

Organizzazione gerarchica e ruoli

Tale organizzazione gerarchica prevede che ci sia un capo responsabile e una serie di altre figure a lui subordinate. Particolarmente all'estero, in una struttura complessa composta da più ristoranti (chiamati anche outlet), vi sono più chef di cucina i quali di solito riportano direttamente ad un executive chef, coadiuvato da un executive sous chef. Il capo della brigata di una cucina è lo chef di cucina (chef de cuisine), coadiuvato dal sous-chef ("sottocapocuoco"). Ad essi rispondono i vari chef de partie (capipartita). "Partite" (parties) sono i vari settori in cui è divisa la cucina, per Escoffier erano cinque. Ad oggi la brigata moderna è divisa in piatti caldi, piatti freddi, macelleria, panetteria-pasticceria. Ai vari chef di partita rispondono i commis.